Wolfang Alexander Kossuth©: Forze in equilibrio – resina bianca, h cm 280. 2005
WOLFGANG ALEXANDER KOSSUTH
ARMONIA E MOVIMENTO
30 Gennaio – 15 Marzo 2009
PALAZZO LUIGI EINAUDI
Piazza d’Armi 6
CHIVASSO
Mercoledì 9.30 – 12.30 / Giovedì e Venerdì 16.00 – 19.00 / Sabato e domenica: 10.00 – 12.00 ; 16.00 – 19.00 / Lunedì e Martedì chiuso
Fondazione 900 . tel. 011 9103591 /cell. 339 4673821
Per info sull’artista consultare il sito www.kossuth.org.
Ufficio stampa: Luigina Moretti cell. 347/7986180; luiginamoretti@virgilio.it
Catalogo a cura della Fondazione 900
Il Museo Clizia, negli splendidi spazi di Palazzo Einaudi a Chivasso, ospita dal 31 gennaio al 15 marzo 2009 una straordinaria mostra a cura di Diego Bionda
di Wolfang Alexander Kossuth
artista immaginifico e virtuoso che, come nessun altro, sa trasformare in musica la materia ed il colore. Il critico Massimo Olivetti ne ha tracciato un ritratto sul Corriere dell’Arte che qui ora pubblichiamo.
Wolfgang Alexander Kossuth: concerto per bronzo, resina, tela.
Su una lavagna col gesso nel suo atelier, a memento suo e dei suoi aiutanti, Antonio Canova aveva scritto “ Mancando allo scultore l’incanto seducente del colorito, qual precisione, qual verità, quale scelta d’espressione non deve mettere egli nelle sue opere per attrarre l’attenzione dei riguardanti? La sua opera non è per lo più che una sola figura; così egli non dice che una parola sola; bisogna che sia una parola di grand’energia…Lo scultore, sgrossato il marmo, non può più correggersi: i suoi pentimenti sono inutili e rabbiosi. Frattanto egli è obbligato esprimer le forme del corpo e unirvi il sentimento. La riunione di queste due parti ( quanto è difficile) è il sublime della scultura”.
La candida resina di Kossuth “ Forze in equilibrio”, che apre la sua personale a Chivasso, è una rievocazione del paradigma canoviano. Due corpi che si slanciano nella tensione dell’arco. Il gesto che si allunga ad inseguire e perseguire la perfezione del cerchio. La materia che perde sostanza per acquistare fluidità. Il lattice biancore delle membra per esaltare la perdita del peso. La sfida vertiginosa alla massa e alla gravità.
E’ l’audacia di un virtuosismo che si pone al servizio del sentimento. Figure che non sembrano lavorate quanto, piuttosto, create. Perché quella di Kossuth non è solamente una mirabilia estetica, ma è la ricerca fino all’esasperazione della realizzazione di un universo d’immaterialità, è il progetto ideale e chimerico di tendere arti e membra fino ad imporne la fusione con l’aria. Ai suoi modelli, Lara, Alessia, Massimo Murru, allunga all’inverosimile le gambe; caviglie, polpacci, cosce si stendono a prolungare la tensione del gesto e dello sforzo. Tensione che non si esaurisce, come nella Nascita di Mercurio o nel bronzo di Roberto Bolle, nell’allungamento delle gambe. Prosegue nel torso, nel collo, fino ad articolarsi, in extremis, in mani affusolate, dita penetranti nell’atmosfera nell’ultimo, incompiuto tentativo di metamorfosi aerea, per offrire a noi incantati visitatori la speranza ed il desiderio di liberarci dai vincoli della densità, della consistenza, della solidità e confonderci con l’etereo; diventare aria, nuvole, sogno.
Poi c’è la sua storia, la personale e unica parabola di un uomo nato nella musica e per la musica. Wolfgang Alexander Kossuth, diplomato a Napoli in violino, compositore e direttore d’orchestra, fino a debuttare nel 1975 con l’orchestra del Teatro della Scala in qualità di direttore, che nel 1979 abbandona la carriera di musicista per sprofondarsi nella scultura. La musica resta, si sente, risuona nelle sue opere. Non solamente per la scelta di soggetti rappresentati nei gesti della danza classica, nella plasticità delle gambe riunite, dei piedi inarcati sulle punte o nei movimenti paradossali delle figurazioni di pantomime, come nel Fauno Autunno e nel Fauno Primavera, ma perché tutta la sua scultura lievita in un crescendo di melodie. Arti e muscoli, nervi e fibre, in bronzo o resina, anelano alla trasmutazione, a fondersi e compenetrarsi in strumenti musicali.
Qui gli archi, Forze in Equilibrio ed Emanuela Danzante, lì le chitarre, I Capricci, più in là i violini, Il Gabbiano, poi l’arpa, La Regina dei Mari, un intero corpo d’orchestra che vibra di risonanze, suoni e note. Sono opere che trasmettono la felicità nel movimento dei ritmi musicali che le hanno partorite e spinte, fino alla fantastica e surreale invenzione di una chitarra-fenice in volo che trasporta un uomo- giraffa.
E poi la superficie e il colore delle sue statue. Kossuth sa che la bellezza è figlia di qualche Dio ma l’eleganza è il prodotto della cultura. Cura fino all’esasperazione la “pelle”dei suoi bronzi, riproduce le sottigliezze curvilinee di una spina dorsale, il gioco dei nervi e delle articolazioni, la pressione delle dita dei piedi su un cuscino, come in Giada con Turbante, o artigliate nella carne nella Dafne e Apollo. Ricopre di patina verde -alga La Bagnante col viso nascosto da una cortina di capelli gocciolante e fa risplendere di bronzo-oro Il Gabbiano nel suo tentativo di decollo nel sole.
Si annida nell’audacia artistica di Kossuth e nel virtuosismo tecnico un rischio di cui mi sembra consapevole. Quanto più l’estetico guadagna in estensione tanto più può perdere in intensità. E lo spirito inquieto che già lo aveva trascinato dalla musica alla scultura gli impone una ricerca continua ed incessante di nuove forme, nuove prospettive, nuovi tormenti. Soprattutto in pittura si avverte che Kossuth utilizza magistralmente l’eclettismo come bussola per l’esplorazione di inediti orizzonti artistici. I ritratti di Franco e Armando in “fondo nero”, impietosamente rappresentati nella corruttibilità dei loro corpi, rimandano a Lucien Freud; l’Autoritratto ci riporta alle esasperazioni caricaturali degli allegri e disperati gaudenti di Jordaens e gli ultimi Capricci si avventurano nel debordante surrealismo di Dalì. Un continuo melting pot dove la classicità non prevale sulla complessità ma l’uomo Kossuth dialoga ad infinitum con l’artista e l’anelito di liberarsi dai vincoli e limiti della materia non si perde nell’astrazione ma, pur dolorosamente, si legittima nella realtà. E come diceva Degas a proposito delle parole, così le opere di Kossuth “hanno abbastanza forza per resistere all’aggressione delle idee”.
Massimo Olivetti
Il Corriere dell’Arte, Venerdì 20 febbraio 2009